12 aprile 2020

Notte dopo notte....pensiero dopo pensiero.

Carissimi,
non ho mai scritto nulla in questo periodo  molto particolare per ciascuno di noi. Da una parte è stata una scelta visto che di cose ne sono state e ne saranno ancora scritte tante, dall'altra erano forse tanti i pensieri e difficili da mettere insieme. Anche oggi, una Pasqua diversa, non penso di riuscire a scrivere correttamente tutto quello che ho in testa.

Il "titolo" del post è di per sè una prima indicazione: notte dopo notte. Proprio perchè la maggior parte dei miei pensieri è sopraggiunta in un momento particolare della nostra giornata nella quale siamo fermi, al buio e nella quale non possiamo fare altro se non: pensare.

All'inizio di questa epidemia sono tornato indietro di ben 36 anni quando nel lontano 1984 iniziai ad interessarmi, come volontariato, di Aids. A quei tempi si sapeva poco ma quanto basta per attivare la caccia agli untori, per parlare di "categorie" a rischio (vi ricordate lo spot del Ministero con le persone che avevano un alone rosa intorno?), per additare ed evitare tossicodipendenti, omosessuali, persone equivoche, strane e dai comportamenti irregolari.
Bè, nella ricerca, nella caccia al cinese portatore del covid 19 ho rivisto tanto di quelle situazioni vissute anni addietro ed è stato come un risprofondare nell'abisso più duro dell'ignoranza e della stupidità.

Ma il pensiero più pesante di queste settimane è un pensiero proprio mio, uno stato d'animo personale che mi coinvolge totalmente quando penso alla possibilità che possa capitare a me di contrarre il virus e di sparire, in isolamento, da tutti i miei punti di riferimento e dalle persone a me più care.
E' la paura, a volte angosciante, di restare solo, di non avere più alcun tipo di contatto se non con macchine, medici ed infermieri.
Il pensiero di coloro che non hanno più rivisto nessuno da quando hanno varcato la soglia di un ospedale, mi attanaglia e mi fà sprofondare nel nero più opprimente che è molto più nero di una qualsiasi notte buia passata a pensare.

Sto lottando, silenziosamente, dentro di me per non immaginarmi questi scenari ma non è facile perchè è realtà e non è un sogno; perchè a tutti coloro che sono stati ricoverati è successo; e perchè a chi non ce l'ha fatta è accaduto nella totalità della sua drammaticità: non rivedere più nessuno!
Soli! Soli nel momento più difficile, nel momento nel quale avresti proprio bisogno di facce amiche, di persone al tuo fianco che ti parlino di momenti vissuti, di progetti da finire, di normalità. E invece non si può.
E non si può neppure morire con un fiore, con una preghiera, con un canto che ti accompagni lungo una nuova strada. Muori in una cassa di zinco che ai tempi dell'Aids era esterna e non interna ad una cassa di legno come ora. Era un'immagine straziante, l'ultimo scempio alla vita di persone che fino alla fine avevano lottato contro un male incurabile, che si erano attaccate agli ultimi sguardi di chi gli stava accanto al letto nel reparto di malattie infettive di Careggi.

E proprio questa immagine mi ha nuovamente riportato a quei tempi, quando giornalmente andavo e andavamo con i volontari dell'Associazione che nacque, in quel reparto a trovare persone per noi sconosciute, abbandonate da tutto e da tutti, con storie di vita pesanti e certe volte anche difficili da raccontare ma anche da ascoltare. Le conoscevamo in un luogo isolato dal mondo, guardato da tutti con occhi di giudizio e di distacco umano enorme. E la cosa più pesante di quei tempi si ricollega ai miei pensieri di oggi: facevi il tuo giro in reparto come sempre, davi un primo saluto a tutti e poi ti fermavi da qualcuno fino a quando il tuo pomeriggio finiva. Non riuscivi a stare con tutti ma ti dicevi che domani saresti stato ancora lì e allora saresti andato a trovare gli altri. Il giorno dopo di questi altri alcuni se ne erano andati nella notte e allora ti battevi i pugni sulla testa per non essere passato nella loro stanza il giorno prima.

Rovesciando questa esperienza ad oggi, il pensiero è devastante perchè penso che chi è ora in un letto di covid 19 non possa non pensare a chi ha lasciato fuori e non possa non pensare che il rischio è di non vederli più, di non poterci parlare ancora, di non poter incrociare ancora i loro occhi con i propri. Visto dalla parte di coloro che restano fuori dal reparto, penso che le sensazioni siano le stesse, le paure altrettanto e il pensiero di non rivedere più il proprio familiare, il proprio amico, sia devastante e lacerante nel corpo e nella mente.

A novembre ho avuto un ricovero improvviso al pronto soccorso di Careggi per un problema cardiaco quando ero la mattina in ufficio. Non ho mai raccontato questa cosa neppure a Paola ma in questo periodo ritorna alla mente con molta frequenza.
Quando ti capita una cosa del genere all'improvviso non hai chiaramente il tempo, le possibilità di avere intorno le persone che vorresti. E così nelle tante ore trascorse attaccato a monitor, flebo e con questo cuore impazzito che non ne voleva sapere di tornare alla normalità, ero da solo lucido a pensare a come sarebbe andata e chiaramente mi sforzavo di pensare in positivo ma non dipendeva tutto da me. In tutto questo lungo periodo non ho fatto altro che pensare a Paola che era fuori in sala di attesa e anche se la distanza era minima non era la stessa cosa che averla accanto. Quando i miei pensieri svoltavano al negativo, l'idea di non aver rivisto Paola mi attanagliava ma non sapevo cosa fare. Quando nel tardo pomeriggio è potuta entrare è stato come raggiungere la riva a nuoto dopo una tempesta: ero sulla terra ferma e chiaramente felice. Ricordo di aver chiesto a Paola di asciugarmi gli occhi! Era normale pur nella situazione di fili e flebo che di normale aveva ben poco.

Ecco. Ho condiviso con voi anche questo ricordo, questo pensiero e quello più attuale di questi giorni. E' Pasqua. Una Pasqua strana, silenziosa ma chi ha la speranza dentro di sè deve averla anche per questi giorni e per questa situazione. Ce la faremo!
E i brutti pensieri resteranno pensieri ed entreranno a far parte sempre di più del nostro animo perchè sicuramente da questa esperienza che tutti quanti stiamo vivendo abbiamo imparato ancora di più quanto siano bellissimi e fondamentali gli abbracci e i rapporti umani con gli amici e familiari e con tutti coloro che stanno accanto a noi.

Andrà tutto bene! Me lo ripeto sempre anche io.

Un abbraccio. Nicola